L’affascinante storia di Antonio Moscheni, pittore e gesuita, nato nel 1854 a Stezzano, storico paesino alle porte di Bergamo, morto nel 1905 a Kochi nel lontano sud dell’India, sta per fare il giro del mondo

A riportare l’artista alla ribalta è il docufilm prodotto dalla giornalista Silvana Rizzi, sua pronipote. L’idea nasce in concomitanza con l’evento Bergamo e Brescia capitali della cultura 2023.

Patrocinato dal Comune di Stezzano, il filmato è sponsorizzato dallo stesso Comune di Stezzano, dal St. Aloysius College di Mangalore, dall’azienda bergamasca Blutek e dalla Camera di Commercio India per l’Italia.

La proiezione in anteprima sarà a Milano il 10 novembre alle ore 18 all’Auditorium San Fedele, via Hoepli 3/b, la sede ideale per un artista. Ingresso libero.

Antonio Moscheni è molto più conosciuto in India, dove visse e lavorò negli ultimi sette anni della sua vita, che nel nostro paese. A dar vita a questo docufilm è stato il desiderio di portare in scena la sua straordinaria storia personale e la lunga traiettoria artistica: un viaggio nel tempo e nei luoghi, da Stezzano all’India, in cui si sviluppò il suo talento fino a raggiungere una fama tale da essere conosciuto nel Subcontinente come il “Michelangelo Indiano”.

Per lui si è mosso il governo centrale indiano, che nel 2001 ha stampato un francobollo con un  suo quadro. Onore cha da noi è riservato ai più grandi artisti.

Come nasce il docufilm : il racconto della pronipote e giornalista Silvana Rizzi

Tutto ha inizio nel 2005, al seguito di un paio di telefonate.

La prima, inaspettata, dal Comune di Stezzano, dopo vent’anni di silenzio. Una voce sconosciuta annuncia il progetto di dedicare a Moscheni una mostra in occasione del centenario della sua morte, nel 2005. La voce mi chiede se posso aiutarli, chiamando Mangalore, in India, dove Moscheni lavorò intensamente per sette anni.

Improvvisamente riaffiorano tanti ricordi. Rivedo la villa dietro alla chiesa parrocchiale, dove Moscheni visse la prima parte della sua vita, decorata all’esterno con ghirlande di fiori, puttini e scene campestri. All’interno tutto era rimasto come allora: le pareti tappezzate dai quadri e dai bozzetti di Antonio. Le tele raccontavano la vita del paese, dai contadini con il fazzoletto rosso al collo alle feste paesane, piene di allegrie di colori. Quasi un anticipo ai colori dell’India.

A tenere vivo il ricordo dell’artista, c’era la zia Mariuccia di Stezzano, come la chiamavano noi, proprietaria di diverse farmacie nei dintorni, ultima erede della famiglia Moscheni. Ci parlava del pittore, della sua bravura, della gentilezza d’animo, degli studi all’Accademia Carrara di Bergamo e a Roma, dei primi successi, dell’apertura di un atelier a Bergamo Alta, fino al momento in cui Antonio decide di abbandonare tutto per entrare nella Compagnia di Gesù.

Antonio Moscheni , a 35 anni, inizia una nuova vita. I Gesuiti nel 1898 lo destinano a Mangalore, nello stato del Karnataka, nel sud dell’India, dove avevano appena terminato la costruzione di un grandioso college e di una chiesa. Il suo compito sarà quello di affrescarla interamente.

Antonio è felice. Sbarca al porto di Mangalore la vigilia di Natale, dopo tre mesi di navigazione. Ad accoglierlo i profumi dell’India, palmeti e bananeti a perdita d’occhio, le donne dai sari colorati e i fiori nei capelli.

Moscheni si mette al lavoro, senza sosta, appeso a una scala di bambù, ammaliato da quel nuovo mondo, con cui si sente in sintonia. In due anni e mezzo affrescherà 900mq dell’interno della chiesa di St:Aloysius.

“Sono quasi sempre in chiesa, scrive in una lettera alle sorelle e mai a messa, perché la testa se ne vola, tuttavia, il lavorar per il Signore credo che corrisponderà al borbottar dei pater…”

Antonio Moscheni si guarda intorno con curiosità. Mai giudicante, come scrive un suo amico, si stupisce delle tante divinità di quel paese, senza mai criticarne le differenze, commentando con semplicità e arguzia le abitudini dei nativi. La gente gli piace, è gentile, affettuosa, anche se rivela qualche stranezza, come l’adorazione per la mucca.

Tra tutti gli dei indù, lo colpisce l’affascinante Sarasvati, la dea della conoscenza e di tutte le arti, accompagnata dal motto “La verità trionfa sempre”.

L’arte concilia il mondo

A Sarasvati dedica un bellissimo ritratto appeso nella biblioteca del St. Aloysius. La dea dell’arte è avvolta in uno splendido Sari verde, il suo viso è quello delle donne indiane, cosi come i gioielli, ma il corpo si staglia sulla base di una colonna romana. In India, Sarasvati è in piedi su un fiore di loto, il fiore sacro, che esce dall’ombelico di Vishnu.

La seconda telefonata, che darà una svolta anche alla mia di vita, è  al St. Aloysius College di Mangalore.

Dall’altra parte del mondo mi risponde una voce stentorea, direi autoritaria, invitandomi, in perfetto inglese, a venire a Mangalore per vedere le opere di Moscheni.

Perché no? Colgo l’occasione per organizzare un servizio per una nota testata di viaggi e con la mia collega Milena Pozzoli partiamo alla volta del Kerala, con l’obiettivo di trascorrere gli ultimi due giorni a Mangalore, nel confinante stato del Karnataka, distante solo una notte di “night train, first class”.

L’arrivo a Mangalore

A prenderci compare Father Leo d’ Souza, la voce del telefono. Una persona straordinaria, come scoprirò in quasi vent’anni di conoscenza, ex rettore del College, che vanta oggi 15 mila studenti dalle primarie all’università, laureato al celebre Max Planck di Colonia, in Germania.

L’arrivo al College mi lascia a bocca aperta. Il campus del St. Aloysius si estende su un grande spazio in cima a una collina, accanto alla lighthouse eretta dagli inglesi. Se non fosse per l’ azzurro delle costruzioni e il bianco delle colonne, potrei pensare di essere a Oxford.

 Penso alla “vision” dei Gesuiti, alla loro decisione di stabilirsi qui, quando nella foresta ai piedi della collina vagavano elefanti, tigri e serpenti.

“Sono andato a fare una gita di pochi giorni sopra un monte che, per giungervi, fa d’uopo passare in boschi abitati da tigri. Queste però, passando in parecchi con un po’ di strepito, non molestano persona. I serpenti sono piccoli e velenosissimi. I nativi che non portano calzatura alcuna, sono più esposti al pericolo di essere morsicati e passare all’altro mondo in breve tempo”, scrive alle sorelle.

Dopo un lungo viaggio è il refettorio, luogo di ristoro, ad accogliere i nuovi arrivati.  

Mi guardo intorno. E’ il primo incontro con Brother Moscheni…

La sala si affaccia sui palmeti e i bananeti a perdita d’occhio, oggi interrotti da moderne costruzioni.

L’atmosfera è allegra, piena di colori e di vita. Alle pareti spiccano grandi teleri con decorazioni adatte alla sala da pranzo di qualsiasi parte del mondo, dove ci si incontra e si discute amabilmente. Ad attirare la mia attenzione è uno dei teleri, dove spicca un’alzata in cristallo colma di torroncini con la scritta Cremona. Incredibile…

Il bello viene ora…

Father Leo mi annuncia che alle 6 pm ci sarà una “celebration”in mio onore e verrò invitata a parlare in pubblico. Tremebonda, preparo un discorso, dove illustro la vita del Moscheni in Italia.

L’entrata nella Chapel, come la chiamano qui, mi emoziona fin dal primo momento. Ad esaltare l’atmosfera ci sono musiche e canti, sprizzanti gioia di vivere..

La chiesa è illuminata a giorno, gli affreschi si stagliano lungo le pareti e sul soffitto spicca la storia di Luigi Gonzaga, mentre consegna la spada al padre, annunciando la rinuncia al titolo di marchese per entrare nella Compagnia di Gesù.

Mi attira il potente affresco di Gesù che placa le acque, cosi come quello tanto diverso nell’orto di Getsemani, o ancora la nascita del Bambin Gesù con la Madonna dal viso indiano e i pastori d’impronta bergamasca.

Fuori  dalla chiesa accade l’inverosimile.

Sotto al portico spicca un monumento coperto da un velo. M’invitano a scoprirlo. Appare il busto dell’artista Antonio Moscheni su una colonna in marmo bianco, con la dicitura in oro” Monument for brother Antonio Moscheni… inaugurated by his grand niece Silvana Rizzi, on 5th April 2005”.

 St.Aloysius non finisce ancora di stupirmi

Per il giorno dopo Father Leo ha previsto una visita all’Istituto Tecnico del Collegio, nato con l’obiettivo d’insegnare un lavoro pratico a ragazzi e ragazze meno abbienti.

La visita alle ragazze, che stanno imparando a cucire, mi conquista. Colgo la curiosità nello sguardo, ammiro la loro dignità e il modo di accogliermi con simpatia. Da quel momento decido di aiutarle, dando loro la possibilità di lavorare e guadagnare, cucendo tovaglie e camicette, ben gradite alle amiche milanesi.

Dal mitico marzo del 2005 ad oggi, ogni anno torno in India, alla scoperta di nuove emozioni, dall’Orissa, al Gujarat, al Madya Pradesh, per citare qualcuna delle località visitate.

Sulla via del ritorno, immancabile una sosta al S. Aloysius, dove ritrovo Father Leo, le ragazze e tante novità. Il museo, per esempio, dedicato alla città di Mangalore, con una sezione riservata al Moscheni, i nuovi lavori dei ragazzi della technical school, il ritrovamento inaspettato di sei volumi con i disegni di brother Antonio, la Gonzaga School, una scuola d’eccellenza costruita in un anno soltanto, il Festival dell’arte in onore di Moscheni…

E soprattutto, ogni volta resto stupefatta vedendo quante persone di tutte le religioni e di tutto il mondo entrano a visitare la Chapel, affascinate dagli affreschi del Moscheni. Lasciano sul quaderno aperto in ingresso le loro impressioni. Mi ha colpito il disegno lasciato dal più famoso vignettista indiano, che dichiara il suo coinvolgimento.

Antonio Moscheni non era Michelangelo, ma la sua opera è pervasa di una grande spiritualità che illumina i volti dei personaggi con una carica umana che non può non impressionare il visitatore.

Dopo vent’anni sono approdata all’idea del docufilm. Penso che questo sia il momento giusto per fare scoprire Moscheni. Un artista e gesuita interreligioso, pieno di amore e di tolleranza verso il mondo.

Silvana Rizzi