79 opere raccontano l’Italia. I capolavori della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea a Torino

Pascali Pino Primo piano labbra, 1964 Tela smaltata tensionata su struttura lignea con camere d’aria, 165x165x30 cm

Nel cuore di Torino, una città che respira storia e cultura a ogni angolo, dal 19 ottobre 2024 al 2 marzo 2025, le Sale del Palazzo Chiablese ospiteranno una mostra senza precedenti, un’esposizione che promette di catturare l’essenza stessa dell’arte italiana del secondo dopoguerra

Questa mostra, intitolata “1950-1970. La Grande Arte Italiana“, non è solo un’esibizione, ma un vero e proprio viaggio attraverso due decenni che hanno plasmato il volto dell’arte contemporanea italiana. Con ben 79 opere provenienti dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, questa rassegna offre un’opportunità unica di ammirare, per la prima volta fuori dalla loro sede abituale, alcuni dei più importanti capolavori del nostro patrimonio artistico nazionale.

L’arte come rinascita: il contesto storico

Il periodo compreso tra il 1950 e il 1970 fu un’epoca di profonda trasformazione per l’Italia. Uscita dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale, la nazione si trovava di fronte alla sfida titanica della ricostruzione, non solo materiale ma anche spirituale e culturale. In questo contesto, l’arte divenne un potente strumento di espressione, un mezzo per elaborare il trauma del conflitto e per immaginare un futuro nuovo e radioso.

Gli artisti di questo periodo si trovarono a navigare in acque inesplorate, oscillando tra il desiderio di rompere con il passato e la necessità di creare un nuovo linguaggio visivo che potesse dare voce alle speranze e alle ansie di una società in rapida evoluzione. Questa tensione creativa diede vita a un fermento artistico senza precedenti, che vide l’emergere di movimenti e tendenze che avrebbero lasciato un’impronta indelebile nella storia dell’arte mondiale.

I protagonisti di un’epoca rivoluzionaria

La mostra alle Sale Chiablese offre uno spaccato straordinario di questo periodo tumultuoso, mettendo in luce il lavoro di 21 artisti che hanno definito il canone dell’arte italiana del dopoguerra. Nomi come Lucio Fontana, Alberto Burri, Piero Manzoni e Michelangelo Pistoletto risuonano come giganti nel pantheon dell’arte contemporanea, e le loro opere in mostra testimoniano la potenza innovativa e la profondità concettuale del loro lavoro.

Ma la vera forza di questa esposizione risiede nella sua capacità di creare dialoghi inediti tra opere e artisti, offrendo nuove chiavi di lettura e interpretazione. Il percorso espositivo, articolato in dodici sale, è stato sapientemente orchestrato per evidenziare connessioni, contrasti e influenze reciproche tra i vari artisti, creando un tessuto narrativo ricco e stratificato che invita lo spettatore a una riflessione profonda sulla natura stessa dell’arte e sul suo ruolo nella società.

Un viaggio attraverso le sale: highlights della mostra

Il percorso espositivo si apre con due opere emblematiche che fungono da portale simbolico verso il mondo dell’arte italiana del dopoguerra: il “Rilievo con bulloni” di Ettore Colla (1958/59) e “L’arco di Ulisse” di Pino Pascali (1968). Queste due opere, così diverse eppure così rappresentative, introducono immediatamente il visitatore alla varietà e alla ricchezza espressiva che caratterizza l’intera mostra.

Giuseppe Capogrossi, Superficie 207, 1957 Olio su tela, 180×120 cm © Giuseppe Capogrossi, by SIAE 2024

Proseguendo, ci si immerge in una sala dedicata ai capolavori di Giuseppe Capogrossi, dove spicca una monumentale “Superficie” del 1963. L’opera di Capogrossi, con i suoi segni grafici ripetuti ossessivamente, diventa una sorta di mantra visivo, un tentativo di creare un nuovo alfabeto pittorico in grado di trascendere il linguaggio tradizionale dell’arte.

Una delle sezioni più emozionanti della mostra è dedicata al tema della materia, elemento centrale nella ricerca artistica degli anni ’50. Qui, i visitatori possono ammirare due “Concetti spaziali-Buchi” di Lucio Fontana, tra cui uno del 1949, messi in dialogo con lo straordinario “Gobbo” del 1950 di Alberto Burri. Questo confronto tra Fontana e Burri rappresenta un momento cruciale nella storia dell’arte italiana, mettendo a confronto due approcci radicalmente diversi ma ugualmente rivoluzionari alla manipolazione della materia e dello spazio.

Il cuore pulsante: Fontana e Burri

Il “cardine della mostra”, come lo definisce il co-curatore Luca Massimo Barbero, è rappresentato dal confronto diretto tra Lucio Fontana e Alberto Burri. Undici opere emblematiche di questi due maestri entrano in un dialogo serrato, culminando in un accostamento inedito tra il “Concetto spaziale. Teatrino” del 1965 di Fontana e il “Nero cretto G5” del 1975 di Burri.

Alberto Burri, Gobbo, 1950 Olio e vernici su tela di sacco sagomata da una struttura di rami d’albero incrociati nel telaio, 56×64 cm Fondazione Palazzo Albizzini-Collezione Burri, Città di Castello ©

Questo confronto non è solo un omaggio a due dei più grandi artisti italiani del XX secolo, ma rappresenta anche un momento di profonda riflessione sulla natura stessa dell’arte e sul suo rapporto con lo spazio, la materia e il tempo. Le tele tagliate di Fontana, con la loro audace esplorazione della dimensionalità, si contrappongono e al contempo dialogano con le superfici corrugate e tormentate di Burri, creando un contrappunto visivo e concettuale di straordinaria potenza.

Roma: epicentro di creatività

Un’intera sezione della mostra è dedicata al fermento artistico che caratterizzò Roma tra gli anni ’50 e ’60. Questo periodo vide la capitale italiana trasformarsi in un vero e proprio laboratorio creativo, dove artisti di diverse tendenze e background si incontravano, si scontravano e si influenzavano reciprocamente.

Un enorme décollage di Mimmo Rotella del 1957 fa da introduzione a questa sezione, seguito da opere storiche di artisti come Giosetta Fioroni, Carla Accardi, Giulio Turcato, Gastone Novelli, Toti Scialoja, Sergio Lombardo e Tano Festa. Ognuno di questi artisti porta la propria visione unica, contribuendo a creare un mosaico di stili e approcci che riflette la vivacità e la diversità della scena artistica romana dell’epoca.

Particolarmente interessante è il confronto proposto tra un intenso monocromo nero di Franco Angeli e alcuni importanti “Achrome” di Piero Manzoni. Questo accostamento mette in luce le diverse interpretazioni del concetto di monocromia e di riduzione dell’arte ai suoi elementi essenziali, temi centrali nel dibattito artistico di quegli anni.

Verso la contemporaneità: Pistoletto e Isgrò

La mostra non si limita a esplorare le radici dell’arte italiana del dopoguerra, ma traccia anche il percorso verso la contemporaneità. Una sala è dedicata all’iconico quadro specchiante “I visitatori” del 1968 di Michelangelo Pistoletto, un’opera che segna un punto di svolta nell’arte italiana, introducendo lo spettatore come parte integrante dell’opera stessa.

Un’altra sala è dedicata alle celebri “Cancellature” di Emilio Isgrò, opere che sfidano il concetto stesso di comunicazione e significato nell’arte. Le cancellature di Isgrò, con il loro gioco di presenza e assenza, visibile e invisibile, rappresentano una riflessione profonda sul ruolo del linguaggio e dell’immagine nella società contemporanea.

Il gran finale: Schifano e Pascali

Il percorso espositivo culmina in un emozionante dialogo tra alcune significative opere di Mario Schifano (tra cui “Incidente D662” del 1963) e altrettanto straordinari lavori di Pino Pascali. Schifano, con il suo approccio pop e la sua reinterpretazione della cultura di massa, si confronta con l’ironia dissacrante e la creatività esplosiva di Pascali.

L’ultima sala dell’esposizione è interamente dedicata a Pino Pascali, artista concettuale prematuramente scomparso che ha lasciato un’impronta indelebile nell’arte italiana. Capolavori come “Ricostruzione del dinosauro” del 1966 e i “Bachi da setola” del 1968 testimoniano la genialità e l’originalità di un artista che, nonostante la breve carriera, ha saputo reinventare il linguaggio dell’arte, sfidando convenzioni e aspettative.

Un’opportunità unica per immergersi nell’Arte Italiana del dopoguerra

“1950-1970. La Grande Arte Italiana” rappresenta un’opportunità senza precedenti per immergersi nel cuore pulsante dell’arte italiana del secondo dopoguerra. Attraverso le 79 opere in mostra, i visitatori potranno intraprendere un viaggio emozionante e illuminante attraverso due decenni che hanno ridefinito il concetto stesso di arte.

Questa esposizione non è solo una celebrazione del passato, ma un invito a riflettere sul presente e sul futuro dell’arte. Le opere esposte, con la loro forza innovativa e la loro capacità di sfidare convenzioni e aspettative, continuano a parlare al pubblico contemporaneo, ponendo domande sempre attuali sul ruolo dell’arte nella società e sulla natura stessa della creatività umana.

Per chiunque sia appassionato d’arte, per chi voglia comprendere le radici della contemporaneità, o semplicemente per chi desideri immergersi in un’esperienza estetica e intellettuale di straordinaria intensità, la mostra alle Sale Chiablese rappresenta un appuntamento imperdibile. Dal 19 ottobre 2024 al 2 marzo 2025, Torino si trasformerà in un epicentro dell’arte italiana, offrendo ai visitatori l’opportunità di entrare in contatto diretto con alcuni dei più grandi capolavori del nostro patrimonio artistico nazionale.

La Redazione

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