Dietro le quinte del gusto: intervista a Maddalena Baldini
Maddalena Baldini: l’arte di raccontare cibo e vino
In uno degli angoli più affascinanti di Milano, il Principe di Savoia, abbiamo avuto l’onore di fare la conoscenza di Maddalena Baldini, giornalista enogastronomica e scrittrice.
Nata nella bellissima Pontremoli, un incantevole paese incastonato nel cuore della Lunigiana, in provincia di Massa Carrara, Maddalena è riuscita a utilizzare il suo background accademico in Storia dell’Arte come chiave per interpretare e narrare le sfumature del mondo enogastronomico con un approccio davvero particolare
La sua professionalità si manifesta attraverso numerose partnership con riviste di settore, dove scrive articoli, cura rubriche e realizza interessanti approfondimenti dedicati al mondo del food & wine. Con entusiasmo, Maddalena Baldini ci rivela che sta lavorando a un libro che vedrà la luce nel 2025.
Come ha influito la sua formazione in Storia dell’Arte sul suo approccio al giornalismo enogastronomico?
Il mio approdare al giornalismo enogastronomico è il frutto di una serie di situazioni e coincidenze che, come spesso accade, danno esiti creativi. Pochi mesi dopo la Laurea in Lettere Moderne con Indirizzo in Storia dell’Arte, con il sogno e il desiderio di occuparmi di pittura e scultura, decisi di iscrivermi a un Master in Marketing Culturale, Ambientale ed Enogastronomico. Una rivelazione! Sono entrata a contatto con un modo fatto di profumi e sapori, tradizioni e territori, luoghi da vedere e da gustare… a tutti gli effetti un’altra forma di arte con una marea di dettagli da studiare e da comunicare.
Qual è stato il momento decisivo che l’ha spinta a passare dal mondo dell’arte a quello dell’enogastronomia?
Ho avuto la fortuna e il grande onore di lavorare, per quanto concerne la professione di storica d’arte, con due colossi della cultura, due grandi maestri di vita: la professoressa Maria Luisa Gatti Perer, docente di Arte Lombarda presso l’Università Cattolica di Milano con la quale mi sono laureata, conosciuta a livello internazionale, e il dottor Giovanni Fabbri, fondatore della Giovanni Fabbri, la nota casa editrice che ha, letteralmente, insegnato agli italiani del decennio successivo alla seconda guerra mondiale a leggere e a scrivere. Con loro ho acquisito un’ulteriore consapevolezza di quanto fosse profonda e versatile l’arte, di quanto donasse ricchezza senza chiedere nulla in cambio e di quanto fosse meraviglioso parlarne. Poi, per una serie di situazioni avverse, la collaborazione cessò. Così, mandando in giro il curriculum (parlo dei primi anni 2000) fui chiamata a lavorare per una rivista che si occupava solo di vino, recensioni enologiche, territori e cantine. Lì misi in pratica le competenze del Master ed entrai nel vivo del lavoro enogastronomico, allargandolo anche alla comunicazione.
Come struttura il suo processo di ricerca quando deve scrivere un articolo su un prodotto o un territorio?
Adoro cercare, scoprire, chiedere, indagare. Ogni prodotto, anche quello più povero, porta con sé una storia: questa è la vera ricchezza da tramandare affinché nulla vada perso con il passare degli anni. Non tralascio mai di ‘fare due battute’ con chi vive davvero il territorio, magari con un’intervista o, semplicemente, facendo una chiacchierata informale che possa, però, darmi la parte più vera di quello che devo raccontare e esprimere. Tutto ciò lo faccio a prescindere che si tratti di un articolo scritto, di una presentazione o di uno spettacolo che devo condurre con uno chef.
Come vede l’evoluzione del giornalismo enogastronomico nell’era digitale?
Qui si apre uno scenario abbastanza complesso. L’era digitale dà supporto alla comunicazione e al giornalismo in modo veloce e totale. Di contro, però, proprio tutta questa velocità condiziona il processo spiegato prima, inerente a una professionalità giornalistica fatta di ricerca, esperienza e studio.
Qual è stata l’esperienza più significativa della sua carriera giornalistica?
A dire la verità i momenti sono stati tanti… li ricordo sempre con entusiasmo perché mi hanno lasciato qualcosa di personale e professionale. Posso focalizzare l’attenzione sulle presentazioni, per me sempre molto accattivanti perché amo molto comunicare con una platea vogliosa di scoprire, un libro, un piatto, un vino o un’opera d’arte.
C’è un prodotto o un territorio che l’ha particolarmente emozionata durante il suo lavoro?
L’enogastronomia italiana è un ricco museo sensoriale. Ogni luogo visitato, città o paese, mi ha regalato qualcosa di ‘buono’. Mi emoziono ogni volta che visito le Cinque Terre, in Liguria, oppure la Costa dei Trabocchi, in Abruzzo, con le abbondanti mangiate di pesce. Ricordo con stupore e meraviglia la visita fatta a Mozia, isoletta davanti a Marsala, o la sensazione che mi cattura ogni volta che arrivo a Venezia, così come i profumi e i sapori di Trastevere, con la Cacio e Pepe che servono nelle rustiche trattorie. Inoltre, non voglio mai tralasciare la mia terra d’origine, la Lunigiana, con i suoi testaroli, la farina di castagne, la crescente (uno dei pani tipici) e la torta d’erbi.
Come affronta la descrizione sensoriale di un vino o di un piatto nei suoi articoli?
Metto in atto le stesse procedure che mi sono state insegnate per ‘leggere e interpretare’ un quadro, anche sconosciuto. Parto da un impatto generale che, nel caso di un piatto o di un vino, inizia dagli ingredienti o dalle uve adoperate; poi passo alla visione d’insieme (mise en place e colore nel bicchiere) per poi analizzare le caratteristiche e le consistenze. Cerco di andare in profondità per scovare tutti i dettagli, proprio come in un quadro è bene focalizzarsi non solo sul soggetto ma su tutto ciò che viene proposto all’osservatore. Il degustatore deve lavorare con le stesse modalità.
Quali sono le maggiori sfide nella comunicazione enogastronomica oggi?
Il tempo e la rapidità sono le ‘sfide’ che maggiormente ci condizionano. Intendiamoci… è bene essere ‘sempre sul pezzo’ ma la cultura enogastronomica è fatta di storia secolare, di persone, di lunghe usanze e tradizioni. Le tendenze e le contaminazioni che arrivano velocemente sono sempre be accette ma, a parer mio, dovrebbero essere comunicate in quanto tali: interessanti e curiose ma di passaggio. Spesso questa distinzione non viene fatta, cercando solo una comunicazione d’impatto.
Che consiglio darebbe a chi vuole intraprendere questa professione?
Bella domanda! Intanto cercare di far emergere sempre il lato umano della professione, aspetto sempre più relegato e messo da parte. Poi serve preparazione, una cultura di base sulla quale costruire tutto il resto, a prescindere dall’argomento del quale si scriverà. La cultura rende la mente malleabile, flessibile, aperta a nuove conoscenze anche se difficili o diverse da ciò che si è sempre trattato. Non è detto che un laureato in filosofia non possa scrivere di economia, giusto per fare un esempio. È l’abilità di cambiare e la volontà di riuscire che aiutano qualsiasi professione, giornalismo compreso. Mai dare tutto per scontato o per già conosciuto: restare umili dà la forza per migliorare, sempre.
Valentina Avogadro